FROM "LA VILLEGGIATURA DI MAIANO," A MS. BY RUBERTO GHERARDI; A COPY OF WHICH IS IN POSSESSION OF MRS. ROSS, OF POGGIO GHERARDO, NEAR SETTIGNANO, FLORENCE. CAP IV OF MS. Messer Gio. di Boccaccio gode in proprietÀ la Villa che fu del Sigr Berti a Corbignano ove pare che egli nascesse e cresciuto restasse invaghito della Vallata posta sotto il Convento de P. Pi MM. Osservanti della Doccia e poi si trasportasse ad abitare in Firenze e vi comprasse varie Case suo Padre. Si fa l' illustrazione del poema di Mo Gio. nel quale narrati gli amori e gli accidenti seguiti fra il fiume d' Affrico e Mensola e le fortune di Pruneo diloro figlio si trova la moderna e antica topografia dÈ detti luoghi e dell' origine dello Spedale di Bonifazio e del fine del Convento di S. Ma a Querceto e del giogo delle collinette luogo detto Monte. Fra gli ammiratori del nostro Villaggio di Maiano e delle sue adiacenze fu il nostro celebre maestro della Toscana eloquenza Messer Giovanni di Boccaccio di Chellino da Certaldo, il quale fino dalla prima etÀ e dipoi nel fiore della gioventÙ si trattenne molto tempo nella piccola villetta unita al podere, che possedeva suo padre pochi passi sotto il Sobborgo di Corbignano, che per la misura del suo lo goduto con essa, per il fossato che sbocca in Mensola, che lo divide, per i confini che lo specificano, e per le due Cure, una di S. Martino a Mensola, e l' altra di S. Maria a Settignano che vi esercitano la giurisdizione e vengono a individuarla altra non puÒ essere che quella di Corbignano dÈ Osservandosi il contorno dei confini di questa Casa venduta si scuopre esser quella istessa che in' oggi È divenuta dell' Opera del Duomo che sta in mezzo all' altra, che ora, e fin di quel tempo È stata posseduta dall' Opera medesima che fa cantonata in via del Giardino, e dall' altra parte, vale a dire vesso mezzogiorno resta accanto alia Casa dei P. Pi di S. Croce di Firenze presentemente, e che in antico fu di proprietÀ del Boccaccio il quale bisogna che la vendesse poco dopo al 1326 poichÈ avendo egli emancipato Francesco, altro suo figlio, che si trovava vicino alia pubertÀ gli fece comprare nel 31. Agosto 1333 un altra casa in Firenze nel popolo di S. FelicitÀ per rogito di Ser Salvi Dini, ove esso con i suoi figli abitÒ, e di cui parla il Signor Manni nella sua illustrazione, che confina a primo e secondo Via a terzo Domenico Barducci, a quarto Vanni di Cera e degli Eredi di Ghino Canigiani. Lo stesso Boccaccio fece poscia acquisto d' altra mezza Casa il di 13. Dicembre 1342 pei rogiti di Sigri Francesco di Ser Matteo, come si riscontra da un Libro di Gabella di detto tempo esistente nell' Archivio del Monte Comune di Firenze, la quale penso che sia quella posta nel popolo di S. Ambrogio donata dipoi alla Compagnia d' Orsanmichele, come dal registro della medesima principiato nel 1340 a N 133 si vede. Dopo questa breve digressione torniamo a Fiesole coll' istesso Pria che Fiesole fosse edificata Di mura o di steccato o di fortezza venne Diana Dea Cacciatrice in quelle vicinanze ed armata d' arco e di strali con gran corteggio di Driadi, e che era nel Mese di Maggio. Quando la Dea Diana a Fiesol venne, E con le Ninfe sue consiglio tenne Intorno ad una bella e chiara fonte Di fresca erbetta e di fiori intorniata. La quale ancor dimora a piÈ del monte Ceceri, che in quella parte che il Sol guata Quand' È nel mezzogiorno a fronte a fronte, E fonte È oggi quella nominata Intorno a quella Diana ancor si volse Essere, e molte Ninfe vi raccolse.... IncominciÒ la Dea la sua concione alle Ninfe compagne, esortandole al disprezzo e alla fuga degli uomini ed alla vita celibe, solitaria ed occupata nella caccia di Belve. Africo, che languiva d' amore per Mensola una delle Ninfe fra quelle piÙ vistosa dell' altre, udendo nascoso tali consigli l' andava ricercando col cupido sguardo, e non avendola potuta scoprire ne ivi ne altrove giÀ lasso e sbigottito: E verso Fiesol volto piaggia a piaggia Giudato dall' amor ne giÀ pensoso, Cercando la sua amante aspra e selvaggia, Che faceva lui star maninconioso; Ma pria che mezzo miglio passat' haggia Ad un luogo perviene assai nascoso, Dove una valle due monti divide Quivi udi cantar Ninfe, e poi le vide. PerchÈ senza iscoprisse s' appressava Tanto che vidde donde uscia quel canto Vidde tre Ninfe, che ognuna cantava L' una era ritta e l' altre due in un canto A un acquitrin, che il fiossato menava Sedieno elle e lor gambe vidde al quanto, Chi si lavavano i pie bianchi e belli Con lor cantavan li dimolti uccelli. Incontratosi Africo presso l' acquitrino, che per la valle scorrea interrogÒ le Ninfe per sapere qualche nuova di Mensola diloro compagna, ma veggendosi elleno scoperte dal pastorello piene di vergogna fuggirono senza darli risposta, esso le segue, nÈ le puote raggiungere e finalmente disperato. Verso la casa sua prese la via. Giunge tardi alla magione e inganna Calimena e Girafone suoi genitori sopra il motivo del suo ritardo; il tenero padre finse non avvedersi della passione del figlio ed esortollo a fuggire l' amore delle Ninfe come pericoloso, adducendoli in esemplo la vendetta presa da Diana con Mugnone suo genitore trasmutato in fiume per un tale delitto. Non curÒ il giovane gli avvertimenti del vecchio, nÈ l' esempio del nonno, e non avendo non che sfogata neppure sopita la sua fiamma per mezzo dei disprezzi istessi e delle repulse di Mensola che lo fuggiva, ma prendendo augurio di poter sodisfare le pazze brame dal sacrifizio fatto a Venere, che gli comparve scoprendoli la maniera d' ingannare la sua Ninfa ritrosa risolve di tutto azzardare per sodisfazione di sua follia. Prende ancor esso le spoglie e le divise di Ninfa, e trovata Mensola con la comitiva delle altre ingannandole tutte et infingendosi verginella si mette con esse a tirar dardi e a saettar per giuoco. Delusa Mensola scorre i boschi ed i monti di Fiesole con chi le tende le piÙ terribili insidie. Elle eran giÀ tanto giÙ per lo colle Gite, che eran vicine a quella valle Che due monti divide—— Non furon guari le Ninfe oltre andate Che trovaron due Ninfe tutte ignude Che in un pelago d' acque erano entrate Dove l' un monte con l' altro si chiude E giunte li s' ebber le gonne alzate E tutte quante entrar nell acque crude. Ove ora risiedeva il pelagaccio sotto il Convento dei P. Pi della Doccia in questo bagno il giovanetto Africo in abito di Ninfa immersosi in compagnia di Mensola tradÌ la semplicitÀ della verginella e la lasciÒ di se incinta. Fugge ella per la vergogna di tanto oltraggio e per l' inganno del garzoncello; smania Di selva in selva timida s' en vola E di paura freme e di sospetto, E ad ogui sterpo, che passando tocca Esser le pare alla gran Diva in bocca. Erivoltandosi contro l' insidiatore affermato che Tra l' invita e natural furore A spiegar l' unghie a insanguinar le labbia Amor la intenerisce e la ritira Affrico a rimirare in mezzo all' ira. Prevasse all' odio al furore e alla paura l' amore talmente che promesse Mensola al pastorello di ritornare in quel luogo Affrico se ne va inverso del piano Mensola al Monte su pel colle tira, Molto pensosa col suo dardo in mano E del mal fatto forte ne sospira... Cosi passÒ del gran mente la cima E poi scendendo giu per quella costa Laddove il sol perquote quando prima Si leva e che a Oriente e contrapposta E secondo che il mio avviso stima Era la sua caverna in quella posta, Forse a un trar d' arco sopra il fiumicello Che a piÈ vi corre un grosso ruscello. A qual precipizio non conduce un forsennato amore! TornÒ piÙ volte Africo all ingannevole luogo insidioso; ma si trovÒ piÙ volte deluso ancor esso dalla sua Ninfa, che non vi comparve; sicchÈ vinto infine dalla disperazione di rivederla, E pervenuto a piede del vallone E sopra all acque del fossato gito. Disperato e pien di furore si trafisse col proprio dardo: dicendo Io me ne vo all inferno angoscioso E tu, fiume, terrai il nome mio E manifesterai lo doloroso Caso, ch' È occorso si crudele e rio A chiunque ti vedrÀ si sanguinoso Correre, o lasso, del mio sangue tinto Paleserai dove amor m' ha sospinto. L' infelice garzone cadde morto nell' acqua, e quella Dal sangue tinta si divenne rossa, Facea quel fiume siccome fa ancora Di se due parti alquanto giÙ piÙ basso. Tu non potrai fuggir le mie saette Se l' arco tiro o sciocca peccatrice Mensola giÀ per questo non ristette Ma fugge quanto puote alia pendice, E giunta al fiume dentro vi si mette Per valicarlo, na Diana dice Certe parole e al fiume le manda E che ritenga Mensola comanda. La sventurata era giÀ in mezzo all' acque Quand ella i piÈ venir meno sentia E quivi siccome a Diana piacque Mensola in acqua allor si convertia E poi sempre in quel fiume si giacque Il nome suo, che ancora tuttavia Per lei quel fiume Mensola È chiamato Or v' ho del suo principio raccontato. Dopo seguito l' atroce caso e l' orribile metamorfosi prese Diana quel piccolo pargoletto, che per essere stato trovato tra i pruni, Pruneo fu chiamato, e lo consegnÒ a Sinidechia scaltra vecchia ed informata del tutto abitante in quei contorni, che dopo lo condusse a Girafone e Calimena suoi avi, ai quale l' affido con gran premura, essi l' educarono con sommo amore e attenzione. Passo allora Atlante in questa parte D' Europa con infinita gente Atlante fece allora fare Una CittÀ, che Fiesole chiamossi.... E tutti gli abitanti del paese Atlante gli volle alla Cittade Girafon quando questo fatto intese Tosto n' andÒ con bona volontade E menÒ seco il piacente, il cortese Pruneo, etc. etc. Atlante gli pose tanto amore, Veggendo ch' era si savio e valente, Che Siniscalco il fe con grande onore Sopra la terra, e sopra la sua gente, E di tutto il paese guidatore, Ed ei guidava si piacevolmente Che da tutti era amato e benveduto Tanto dava ad ogn' uno il suo dovuto E gia piÙ di venticinqu' anni avea Quando Atlante gli diÈ per mogliera Una fanciulla, la qual Tironea Era il suo nome e figliola si era D' un gran Baron, che con seco tenea E dielli tutta ancor quella riviera Che È in mezzo tra Mensola e Mugnone, E questa fÙ la dote del garzone. Pruneo fe far dalla Chiesa a Maiano Un po di sopra un nobil casamento D' onde ei vedeva tutto quanto il piano, Et afforzollo d' ogui guernimento, E quel paese ch' era molto strano Tosto dimentico siccome sento, etc. etc. Morirono dopo gli avi suoi Girafone e Calimena e Pruneo avendo avuti da sua moglie Tironea dieci figlinoli tutti gli accoppiÒ con vantaggioso Imeneo sicchÈ: In molte genti questa schiatta crebbe E sempre furon a Fiesol cittadini Grandi e possenti sopra i lor vicini. Morto Pruneo con grandissimo duolo Di tutta la CittÀ fu seppellito, CosÌ rimase a ciascun suo figliuolo Tutto il paese libero e spedito, Che Atlante donato avea a lui solo, E bene l' ebbon tra lor dipartito E sempre poi le schiatte di costoro Signoreggiaron questo territoro. Narrati gli amore, i casi, e le seguite trasformazione di Africo e Mensola, rappresentate nel Ninfale di Giovanni Boccaccio senza ricercare quello che abbia voluto indicare nel favoloso racconto noterÒ i luoghi descritti dal medesimo. Osservo che Diana colle sue seguaci conduce a tenere assemblea. Intorno ad una bella e chiara fonte Di fresche erbette e di fiori intorniata, Ceceri in quella parte, che il sol guata Quand' È nel mezzodi a fronte a fronte, E Fonte È oggi quella nominata, etc. etc. Questa fonte È l' istessa chiamata modernamente Fonte all' erta, a piÈ e nel base di Monte Ceceri situata a Mezzogiorno e sotto la Villa dei Signori Pitti Gaddi, della qual fontana ora non se ne veggono che le scomposte mura, le rovine ed i vestigi nella pubblica strada al principio della costa; ma vivono persone, che mi hanno assicurato che circa all' anno 1710 ne fu deviata l' acqua procedente dal vivaio un po superiore alla medesima e dall' unione di quelle, che vi concorrevano d' altrove perchÈ infrigidiva i terreni sottoposti e noceva alle piante e alle raccolte dell istesso podere. Al tempo del nostro Boccaccio (chiamerÒ da qui avanti con tal nome benchÈ di suo padre il nostro Mo Giovanni) io trovo che questo podere con case, vivaio etc., esistente alla fine del piano di S. Gervasio fu venduto nel 5 Giugno 1370 per rogito di Sigre Ristoro di Jacopo da Figline, da Giovanni di Agostino degli Asini a Messer Bonifazio Lupo Marchese di Soragona e Cavaliere Parmigiano, che in quel tempo fu ascritto alla fiorentina cittadinanza, il quale spinto da lodevole pietÀ e grata riconoscenza alla repubblica fiorentina ottenne dalla medesima fino sotto li 23 Dicembre 1377 come attesta l' Ammirato nel Libro decimo terzo, di poter fondare lo Spedale in Via S. Gallo di detta cittÀ chiamato appunto di Bonifazio dal nome de sÌ pio e grato benefattore; fu posto questo Spedale nel luogo comprato sino ne 2 Febbraio 1309 da Messer Giovanni del giÀ Migliore dÈ Chiaramontesi di Firenze per edificare il Monastero e Convento di S. Maria a Querceto per rogito di Ser Benedetto di Maestro Martino come si vede dall' Archivio dell' Arcivescovado e dagli spogli del Migliore, le quale Monache vi tornarono e vi si trovavano ancora nell' anno della peste del 1348 come per i rogiti di Ser Lando di Ubaldino da Pesciola del 4 Maggio 1336, e di Ser Benvenuto di Cerreto Maggio del dÌ 24 Marzo 1346, e d' altri si riscontra, e dopo molto tempo Eugenio Quarto uni ed assegnÒ al predetto Spedale il detto monastero e Monache di Querceto quivi contigue come dallo Zibaldone di No. 90 Del Migliore a 127 e 202 nella Magliabechiana |